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l comune denominatore
Un
cliente entra nel mio negozio agitato e preoccupato. Il suo computer non si
avvia, ma ne ha bisogno urgentemente, perché deve preparare molti curricula da
spedire a varie aziende.
Curricula?
Ma non ha già un lavoro?
Sì,
alla Camera dei Deputati, uno dei posti più ambiti e meglio retribuiti di Roma.
Eppure
non è soddisfatto, si sente mortificato, frustrato e per niente appagato. È
disgustato dalla vanità, dalla presunzione, dalla mancanza di rispetto, dagli
sprechi e dalle ingiustizie alle quali giornalmente assiste.
Un
altro ragazzo è fissato per il fisico, per il “look” perfetto. È un habitué
della palestra, sempre alla ricerca della ragazza giusta. Ha trentacinque anni,
ma cerca la compagnia delle ventenni.
Un
uomo in pensione è amaro, aspro verso tutto e tutti. Sebbene non abbia problemi
di salute o economici, qualcosa gli va sempre storto. È critico verso la
moglie, i figli, il genero, i parenti, gli amici, i condomini, i conoscenti e
la società intera. Non passa mezz’ora della sua vita che non sia riempita da
una critica o un’arrabbiatura.
Infine,
c’è un’adolescente molto carina, ma con seri problemi alimentari. Soffre di
anoressia, non è contenta di sé, tanto meno degli altri, delle circostanze, del
comportamento della famiglia e degli amici. Prontissima a criticarsi e
criticare.
Cosa
hanno in comune queste persone? L’insoddisfazione, la delusione, il desiderio
di cambiare se stessi e le circostanze?
Il
comune denominatore tra loro non è né un sentimento né una piaga sociale,
piuttosto un male dell’anima. Non conoscono Dio.
Hanno
in comune quel vuoto che anche noi ben conosciamo per averlo sperimentato prima
di accettare Gesù come Salvatore. Un vuoto che solo lo Spirito Santo può
riempire.
È
una grossa amarezza dover assistere, impotenti, alle conseguenze di un male di
cui si conosce benissimo la cura, perché il malato non vuole ascoltarci.
“Il problema risiede nell’eventualità che hai
escluso a priori” è una massima che ho coniato per la soluzione a problemi
tecnici del computer, ma si adatta anche ai problemi spirituali. Le persone,
infatti, escludono a priori l’eventualità che Dio possa essere la risposta a
quel vuoto interiore che li porta ad essere continuamente insoddisfatti, a
fingere, a cercare nuove esperienze e nuovi e spesso futili obiettivi per cui
lottare.
Gran
parte dell’umanità vive rimandando la soluzione del problema esistenziale ad un
“dopo” quando, però, non sarà più possibile porre rimedio all’inevitabile
separazione da Dio.
L’uomo
ha in sé la consapevolezza dell’eternità, ma gliene sfugge il vero significato,
fintanto che non riconosce Gesù come il Signore Creatore dell’universo.
“Dio
ha fatto ogni cosa bella al suo tempo; Egli ha perfino messo nei loro cuori il
pensiero della eternità, quantunque l’uomo non possa comprendere dal principio
alla fine l’opera che Dio ha fatta” (Ecclesiaste 3:11).
Ogni essere umano sa di essere eterno, ma vede sfuggire la vita giorno dopo giorno, la sua e quella degli altri. Il dramma è che, pur non sapendo darsi una risposta plausibile, non si piega a chiederla a Dio, e il velo, che Satana ha messo nella sua mente, rimane a nascondere la realtà della vita. In questa situazione, la confusione, la depressione, l’insoddisfazione, l’amarezza e il fallimento sono assicurati.